Ancora
una volta mi ritrovo a parlare di libri e di "Legge Basaglia", un
argomento che fin dalla mia tesi in Psicologia Clinica mi ha sempre coinvolto e che ancora continua ad emozionarmi
E'
con l'augurio che ognuno di voi riesca a portare avanti le proprie rivoluzioni
che vi presento:
Come
si legge sul sito dell'omonima casa editrice:
“Questa storia dimostra che un piccolo gruppo di
persone può davvero cambiare il mondo. Quando Franco Basaglia e Antonio
Slavich cominciarono a demolire il manicomio di Gorizia dall’interno, nei
primi anni sessanta, nessuno se ne accorse. Ma alla fine di quel decennio la
gente accorreva a Gorizia per vedere come si rovescia un’‘istituzione totale’.
Questo libro racconta la storia di quella ‘rivoluzione’”.
Di seguito troverete la
mia sbobinatura della puntata radiofonica Fahrenheit
(Rai Radio3) del 20/02/2015 dove si parla
di: Basaglia e antipsichiatria,'68 prima
del '68, processo Miklus, documentario "I giardini di Abele", libri "Istituzione negata” e “Morire di
classe”, manicomio di Perugia, l’uscita di Marco Cavallo.
Chi
vorrà approfondire troverà anche alcuni interessanti link nel testo.
Trattandosi
di linguaggio parlato, non troverete frasi perfette ma come diceva Marilyn
Monroe "L'imperfezione è bellezza, la pazzia è genialità".
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Franco Basaglia |
Conduttrice:
Possiamo
partire da una fotografia, ed in effetti l’ospite di Fahrenheit nel suo libro
lo fa. E’ uno scatto del 1965, ci sono
delle persone vicine, sembra quasi una squadretta di calcio, al centro c’è lui:
c’è Franco Basaglia. E' Franco Basaglia, non soltanto quella che è stata poi la
sua opera, ma come è arrivato alle sue teorie e alle sue pratiche e come si
sono concretizzate, al centro di "La Repubblica dei Matti. Franco Basaglia
e la psichiatria radicale in Italia, 1961- 1978”. Il libro esce per Feltrinelli, l’autore è:
John Foot. John Foot è docente di “Storia Contemporanea Italiana”, ha insegnato
presso il Dipartimento d’Italiano dell’University College di Londra ed insegna
ora all’Università di Bristol. John
Foot, perché ha deciso di raccontare questa storia?
Foot:
Nel
2008 ero a Trieste e stavo lavorando a tutt’altro. Lì c’erano grandi
festeggiamenti per il trentennale della “Legge Basaglia”. Sono andato a vedere il
film “San Clemente” di Depardon che è un film
sconvolgente sul manicomio. A quel punto ho pensato: “Ci sarebbe da fare una
ricerca ed un libro su quest’esperienza”. E sei anni dopo ecco: siamo qui con
il libro. E’ stato un lavoro molto lungo di raccolta e di scrittura.
Conduttrice:
Il
lavoro di John Foot è una delle opere più complete e che meglio fa capire come
può nascere quella che ancor oggi viene definita “l’utopia di Basaglia”. Parte
davvero dall’inizio, dal quel primo incontro, del 1961, quando per la prima
volta Franco Basaglia arriva nell’ospedale psichiatrico di Gorizia, lo vede e
lo descrive poi in un brano molto famoso. Allora Basaglia era uno studente di
medicina e ricorda di aver trovato nell’ospedale di Gorizia la stessa
sensazione, lo stesso aspetto, lo stesso odore terribile di quando fu
incarcerato perché lottava contro il fascismo. E’ così?
Foot:
Si,
lui dice subito no all’Istituzione. Quando arriva una delle prime cose che deve
fare è firmare l’ordine di routine che è tenere la gente chiusa e legata a
letto. Lui si rifiuta di firmare questo ordine, questo è già il primo no, nel
Novembre del 961, è una delle prime cose che fa. Quindi lui ha quasi un rifiuto
fisico dell’Istituzione, sente la nausea. Questo è vero per tante persone in
quegli anni. Questo suo rifiuto viene un po’ dal suo antifascismo, un po’ dalla
sua esperienza in carcere, ma anche dal fatto che ormai siamo in un’Italia
democratica.
Conduttrice:
Come
era quel luogo nel 1961?
Foot:
Questo
libro mi ha fatto veramente venire gli incubi per il materiale che ho letto. Ho
letto di elettroshock, di gente legata, di suicidi … Era un luogo chiuso. Era
un luogo dove la gente spariva nel nulla, dove diventava mezze persone. Le
terapie erano poche. In teoria era un ospedale ma in realtà centomila persone
in Italia nel 1961 erano lì, come chiusi fuori dalla società. Era un posto
molto difficile, duro, sconvolgente. Un posto dove la vita era una specie di
routine.
Conduttrice:
Lei
ad esempio riporta le parole di Andrea, uno dei pazienti di Gorizia prima
dell’arrivo di Basaglia: "Prima quelli che erano qui pregavano di morire,
quando moriva uno qui una volta suonava la campana, adesso non usa più. Quando
suonava la campana tutti dicevano: 'Oddio, magari fossi morto io, che sono
tanto stanco di fare questa vita qui dentro'. Quanti di loro sono morti che
potevano essere vivi o sani, ed invece avviliti non avevano nessuna via
d’uscita, non volevano più mangiare. Gli buttavano giù il mangiare per il naso
con la gomma ma non c’era niente da fare perché si trovavano chiusi qui dentro
e non avevano speranza di uscire>.
Ecco
prima di quel momento che cosa trapelava all’esterno della vita nei manicomi?
Foot:
Abbastanza
poco. I manicomi erano quasi sempre costruiti in periferia. Inoltre erano quasi
autosufficienti, erano come delle città dove c’era tutto: la chiesa, la cucina
… Poi
con Basaglia, con i politici degli anni sessanta, con i giornalisti, con la
fotografia, cominciano ad uscire delle notizie su questo posto molto strano.
Era un posto dove la gente non aveva commesso nessun crimine ma era comunque
chiusa dentro, spesso per sempre e a volte per poco tempo, senza la possibilità né di uscire né di
guarire. Nel 1961 pochissimi, quasi nessuno, parlava di manicomio. Con il 1968
tutto cambiò molto.
Conduttrice:
Lei
nella “Repubblica dei matti” ci fornisce anche gli strumenti per capire come e
in quale contesto nasce la pratica di Basaglia. La psichiatria radicale degli
anni sessanta e settanta si concentra su un termine a cui lei dedica un
capitolo: antipsichiatria. Come nasce e come si afferma l’antipsichiatria?
Foot:
Antipsichiatria
è un termine molto difficile. Spesso si dice che con l’antipsichiatria si va a
negare l’esistenza della malattia mentale. Nel libro ho dovuto fare un capitolo
per sfatare questo termine che già a dirlo ora in Italia vengono dei brividi.
In realtà l’antipsichiatria è un grande movimento che va contro quello che
c’era prima, contro le istituzioni. Si è sviluppata in Inghilterra, in Francia,
in Germania, in Italia e fino al Brasile. Questo termine ora è un po’
screditato ma allora, alla fine degli anni sessanta e settanta, era un termine
che coglieva qualcosa del rifiuto della psichiatria vecchia, dei metodi vecchi,
delle istituzioni. Lo stesso Basaglia diceva: “Noi siamo dentro ma lottiamo
contro”. In lui ci sono sempre queste contraddizioni: “Noi abbiamo il potere ma
vogliamo liberarci di questo potere chiudendo queste istituzioni”.
Conduttrice:
A proposito di istituzioni e di potere c’era anche la messa sotto accusa di
quello che poteva avvenire all’interno delle famiglie. Si cominciava anche a
riflettere su come la malattia mentale spessissimo nasceva proprio nella
dinamica di potere familiare.
Foot:
Nel
mondo della psichiatria degli anni sessanta c’era un grande fermento per quel
che riguarda l’origine della malattia mentale. Questa è una delle
contraddizioni della chiusura delle istituzioni: uscendo dal manicomio dove
potevano andare le persone? Se tornavano in famiglia le persone rientravano nel
luogo che in teoria aveva creato il problema. Si, la famiglia viene messa sotto
accusa in quegli anni. Leggendo ora il libro “La morte della famiglia” di David Cooper sembra di ritrovarsi in tutt’altra epoca
ma in quel momento questo volume era molto diffuso e tutti lo leggevano.
Conduttrice:
Del
resto non si può capire il lavoro di Basaglia se non si ragiona sul contesto
come lei, uno storico, ha fatto. Cioè cercare di capire come nasce il suo
pensiero. Noi l’abbiamo lasciato là Basaglia, sulla soglia dell’ospedale di
Gorizia, disgustato da quello che ha visto. Quali sono i suoi primi passi? Che
cosa comincia a fare in quei suoi primi anni a Gorizia?
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Franca Ongaro |
Foot:
All’inizio
è molto isolato. Lui con la moglie Franca Ongaro, una figura spesso trascurata
ma importantissima, si muovono piano. Non sanno esattamente che cosa vogliono
fare. La prima cosa che fa è costruire un’equipe, a squadra di psichiatri e di
psicologi che sono intorno a lui. Cerca di convincere gli infermieri di passare
dalla sua parte. Cerca di aprire i reparti. Si lavora con molta cautela non sapendo
quali saranno le conseguenze del suo lavoro:
liberare i pazienti, buttare giù i muri, facendoli buttare giù dagli
stessi pazienti. Ciò non era mai successo da nessuna parte. Lui dice spesso:
“Io non sapevo che cosa stessi facendo però andavo avanti”.
Conduttrice:
Le
fonti su cui lei ha lavorato vengo proprio da materiali interni di
quell’equipe?
Foot:
Questo
è stato un grande problema perché l’archivio di Gorizia è stato distrutto.
Spesso ho lavorato sulle testimonianze dei protagonisti. Sono dovuto stare
molto attento perché i protagonisti non sono sempre le persone più obiettive su
quello che è successo. Io ho dovuto mettere al confronto varie versioni
cercando di arrivare ad una versione condivisa. Ho messo insieme racconti dei
pazienti, racconti dei psichiatri, articoli di giornale, fotografie, filmati.
Poco materiale da archivio.
Conduttrice:
Dal
1961 al 1969 sono una dozzina i goriziani che lavorano con Basaglia: Franca
Ongaro, Giovanni Jervis e sua moglie, Agostino Pirella… E’ un lavoro durissimo
perché quell’equipe deve essere sempre presente per poter garantire una prassi
diversa da quella che era stata realizzata fino ad allora.
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Agostino Pirella e Franco Basaglia (Arezzo 1975) |
Foot:
Si
in realtà questa è una piccola rivoluzione: Basaglia e la sua equipe stanno
dentro l’ospedale, stanno con i pazienti. Prima ciò non succedeva. Era un
lavoro totalizzante. Chi vi ha partecipato racconta di aver trascurato tutta la
propria vita privata, persino le proprie famiglie. I turni erano di 23 o 24
ore. Si dedicavano completamente ai pazienti, all’ospedale e allo studio di
quello che stava succedendo.
Conduttrice:
C’era
anche la necessità di azzerare tutto quello che era stato fatto fino a quel
momento, anche visivamente. In uno dei capitoli scritti da John Foot c’è
proprio il resoconto di come i manicomi avessero lo stesso aspetto dei campi di
concentramento.
Foot:
Si. Un libro importantissimo per Basaglia è stato “Se questo è un uomo” e
quando vede i manicomi vede anche quello. Usa questo slogan “Manicomio uguale a
lager”. E’ chiaro che ciò è un po’ una forzatura perché i manicomi non erano campi di morte ma campi
di contenzione. Però l’uso di questo termine in quegli anni ha un grande
potere. Nel suo lavoro Basaglia usa spesso il linguaggio di Primo Levi.
Conduttrice:
Basaglia
ha un modello di riferimento in Scozia, ovvero?
Foot:
Basaglia,
sua moglie e la sua equipe andarono Dingleton, vicino
ad Edimburgo, per vedere un modello di Comunità Terapeutica. Qui
l’ospedale è aperto, si fa assemblea. Loro cercano di riprodurre questo modello
a Gorizia. Lo fanno però in modo molto più radicale. Il fine delle Comunità
scozzesi non era quello di chiudere l’ospedale ma di fare un ospedale buono,
mentre Basaglia non vuole fare una gabbia d’oro ma vuole chiudere e distruggere
queste istituzioni. Riuscirà a farlo.
Conduttrice:
Uno
dei passaggi più importanti per l’esperimento di Basaglia fu l’assemblea
generale. Che cosa era l’assemblea generale e quali conseguenze ebbe? John Foot
infatti racconta anche che c’è una prefigurazione precisa di quello che sarebbe
stato poi il ’68 proprio in questo esperimento.
Foot:
L’assemblea
è aperta a tutti nell’ospedale, si tiene cinque giorni a settimana dal 1965 in
poi, è gestita dai pazienti, ci sono votazioni, si scrive il resoconto
dell’incontro, partecipano i medici ma non hanno il camice bianco (ma questo è
un altro discorso dei basagliani e degli psichiatri radicali). Nell’assemblea
si parla di tutto: di cibo, di birra, di lavoro; non si parla di cose di
altissimo livello e si parla anche di malattia mentale. Questo è un rovesciamento: un posto dove non c’era democrazia diventa un
posto iperdemocratico. Questo è il ’68 prima del ’68.
Conduttrice:
Proprio nel 1968 l’esperimento di Gorizia, che era comunque già noto negli
ambienti psichiatrici o almeno lo stava diventando, diventa famoso grazie al
libro “L’istituzione negata” pubblicato da
Einaudi nel mese di Marzo. John Foot scrive che questo libro divenne la bibbia di
una generazione. Cosa c’era in questo libro e perché divenne così famoso?
Foot:
E’
il libro giusto al momento giusto. Nel Marzo del 1968 arriva questo libro con
questo titolo molto suggestivo. E’ un libro molto collettivo: non è solo di
Basaglia ma è di tutta l’equipe, dei pazienti, dei giornalisti. E’ un libro
costruito come un specchio del ’68, qui parlano tutti, ci sono dibattiti
aperti. Fu un libro importantissimo, forse più comprato che letto. In realtà
dentro il libro c’è una grande critica a Gorizia ma il libro viene letto come
se Gorizia fosse un modello, ciò non è esattamente quello che stava dicendo
l’equipe.
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Trieste 1977, 3° Réseau Internazionale di Alternativa alla
Psichiatria - Parco di San Giovanni - David Cooper davanti al Reparto C |
Conduttrice:
“L’istituzione
negata” non è un testo teorico, anzi è tutt’altro.
Foot:
Infatti
vi parlano pazienti, per esempio una paziente, Carla Anadini, che è stata a
Auschwitz. Ci sono tante voci in questo libro. Non è un libro dogmatico, ma è
un libro pieno di voci anche contrastanti fra di loro. Importantissimo in
questo libro è il lavoro di Giulio Bollati che diventa grande amico di Basaglia
e di sua moglie. Lui mette insieme i pezzi di questo libro con un grandissimo
lavoro di editor, vecchio stile.
Conduttrice:
C’era
un timore, un rischio di cui l’equipe era decisamente consapevole: la possibile
violenza di qualcuno dei presenti nella comunità di Gorizia. L’incidente era il
grande timore e un incidente avviene, quando?
Foot:
Nel
Settembre del 1968 proprio nel momento di fama di Gorizia, un paziente, Alberto Miklus, esce per vedere la moglie e la
famiglia e nello stesso giorno uccide la moglie. E’ un caso molto clamoroso, è
sulla pagina di tutti i giornali ma è anche un momento di svolta per Gorizia,
per Basaglia e per tanti altri. E’ un momento scioccante per la comunità. E’ un
momento importante perché tutti i rischi prima immaginati ora vengono al nodo.
Conduttrice:
E
molte sono le accuse che vengono rivolte a Basaglia, anche dagli organi d’informazione.
Foot:
Si.
Basaglia e Antonio Slavich, che lavorò con lui per quasi tutto il tempo a
Gorizia, vengono accusati di omicidio colposo. C’è un processo clamoroso di
Slavich che verrà scagionato ma solo dopo tre anni. E’ quindi un caso dove la
città di Gorizia si rivolge contro questa esperienza. E’ l’inizio della fine
per Gorizia ma non per il movimento in sé. L’accusa che viene sempre fatta
contro la Legge Basaglia
è quella di mettere in pericolo le persone. C’era anche però chi lo difendeva.
Quando Basaglia viene incriminato arrivano lettere di solidarietà da tutto il
mondo. C’è anche un movimento che lo difende da queste accuse.
Conduttrice:
Non
solo. Ci sarà anche un documentario televisivo di SergioZavoli intitolato “I giardini di Abele”, girato proprio nel 1968 e
trasmesso il 3 Gennaio 1969 su Rai 1 in prima serata dopo il telegiornale. Quel
documentario sarà importantissimo non solo per quello che avviene a Gorizia ma
anche per quello che succederà in molte città italiane. E così?
Foot:
Si.
Io credo che non si possa sopravvalutare l’importanza di questo documentario.
Undicimilioni di audience per un documentario su Gorizia, dove parla Basaglia e
dove parlano i pazienti, è una cosa straordinaria. Tutti parlano senza avere la
faccia nascosta ma direttamente alla telecamera. Questo è il momento in cui
Basaglia entra nelle case degli Italiani. Quindi Zavoli fa un lavoro molto
bello e celebre, ma anche di pubblicità per il movimento che vale oro. Il libro “L’istituzione negata”
vende settantamila copie, ma undicimilioni di Italiani vedo “I giardini di
Abele”. Questo è un momento di svolta secondo me.
Conduttrice:
C’era
anche un altro libro importante che si chiama: “Morire
di classe”.
Foot:
Questo
libro pubblicato nel 1969 è molto collegato al documentario “I giardini di
Abele”. E’ un libro di fotografia e di denuncia delle istituzioni molto
scioccante, bello, fatto con un design rivoluzionario. Ha un impatto qualche
volta sopravvalutato ma che comunque vive negli anni con fotografie di Carla Cerati e Gianni Gardin. E’ un libro molto
originale anche nel formato con un design radicale che entra nella politica.
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Dettaglio foto di Carla Cerati - Dal libro "Morire di Classe" |
Conduttrice:
Anna
di Arezzo ci scrive: “Non dimenticate le esperienze illuminate prima di
Basaglia, come Arezzo negli anni ’40 e ’50”. Tutte quelle che furono esperienze
circoscritte cominciano dalla fine degli anni sessanta a disseminarsi in tutta
Italia. Lei cita Perugia come esempio perfetto.
Foot:
A
Perugia ci fu un processo che spesso è dimenticato dalla storia. A Perugia è
successo tutto quello che accadde a Gorizia solo che non ci fu un libro come
“L’istituzione negata”. Ci fu un bel documentario ma non come quello di Zavoli.
Perugia non ha saputo pubblicizzarsi. L’esperienza di Perugia è però
straordinaria e molto importante anche per Gorizia come appoggio. Io volevo
restituire la centralità di questa esperienza. E’ molto importante il ruolo dei
politici in questi anni. Ci sono questi politici che vedono il manicomio,
rifiutano di gestire questo sistema e aiutano gli psichiatri come Basaglia,
come Carlo Manuali a Perugia, per cambiarlo. Quindi i politici, tipo Mario
Tommasini e Ilvano Rasimelli, sono
importantissimi perché loro hanno il potere di cambiare il sistema.
Conduttrice:
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Marco Cavallo esce |
Noi
facciamo un lungo salto avanti. Siamo negli anni della chiusura del manicomio, gli anni dell’uscita di Marco Cavallo questa
scultura colorata di azzurro e tutto il manicomio che va fuori. Ci avviciniamo
all’approvazione della legge 180 e lei, John Foot si ferma con l’approvazione
della legge. E’ un libro importante e complesso, anche se con una scrittura
immediatamente accessibile a chiunque che ci spiega con esattezza in quale
clima è maturato il sogno e poi l’azione di Basaglia. Nelle ultime pagine lei
conclude: “Oggi gli ex manicomi svolgono le funzioni più disparate, sono quasi
tutti aperti al pubblico”. Che cosa accade di quella legge? Lei sta ragionando
su questo? Di una legge che appunto decreta la fine di un’epoca e molti dei
nostri messaggi ci chiedono del dopo.
Foot:
E’
anche giusto. Io all’inizio volevo fare tutto. Volevo fare un libro che andasse
dall’inizio ad oggi ma subito mi sono reso conto che era impossibile. Io ho
tantissimo materiale e voglio andare avanti a raccontare; perché la legge
Basaglia non chiude niente, dice solo che non si possono più costruire i
manicomi, dice di chiuderli ma ci vorranno altri venti anni per chiuderli. E’
questa è un’altra battaglia portata avanti non da Basaglia stesso, lui muore
nel 1980, ma dalla moglie e da tanti altri di un grande movimento. Questa è una
storia importantissima, molto complicata, controversa, di lotte politiche
locali ma è una storia da raccontare assolutamente. Questa storia va avanti
tutt’ora.
Conduttrice:
Lei
lo farà?
Foot:
Si.
Conduttrice:
John
Foot ha scritto “La repubblica dei matti. Franco Basaglia la psichiatria
radicale in Italia. 1961-1978” per Feltrinelli. Grazie per essere stato con
noi.